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Text by Antonella Sbrilli, 2013

Date e dati del XX secolo nell'opera Ich war's. Tagebuch 1900-1999, di Daniela Comani
di Antonella Sbrilli (Professore Associato di Storia dell'arte contemporanea. Dipartimento di Storia dell'arte e Spettacolo, Sapienza Università di Roma)

I dossier dell'Archivio erano connessi a destini reali
Ian McEwan, Miele, 2012

Il confronto fra l'individuo e la storia è al centro di un'opera monumentale e al tempo stesso impalpabile dell'artista Daniela Comani, Ich war's. Tagebuch 1900-1999 (Sono stata io. Diario 1900-1999), realizzata in diversi formati nel 2002, nel 2005 e presentata nel 2011 alla LIV Biennale di Venezia per il Padiglione di San Marino. Nata a Bologna nel 1965 e diplomata presso l'Accademia di Belle Arti della sua città, Daniela Comani si è trasferita a Berlino nel 1989, l'anno della caduta del Muro. Nella Berlino degli anni Novanta, fra riunificazione e ricostruzione, smottamenti politici ed esperimenti sociali, ha proseguito la sua formazione, dando inizio a un'attività artistica orientata verso i temi degli stereotipi di genere, delle abitudini culturali, della memoria, ed espressa attraverso fotografie, disegni, video, performance, installazioni, assemblage, produzioni editoriali. Ich war's. Tagebuch 1900-1999 (Sono stata io. Diario 1900-1999) racconta l'intero secolo XX concentrando una selezione di fatti epocali in un anno virtuale di 366 giorni. L'opera ha tre versioni: si può ascoltare come una radiocronaca, in diverse lingue europee, fra cui il tedesco, lingua in cui l'opera è stata in origine concepita; si può leggere sfogliando un libro, diverso per impaginazione da lingua a lingua; si può guardare, stampata su tela e montata su un grande pannello, come un muro di date e parole, di dimensioni variabili a seconda della collocazione. Nella versione audio, l'ascolto va dal primo gennaio al 31 dicembre che, nella selezione, corrispondono rispettivamente alla fondazione del partito comunista tedesco il I gennaio del 1919 e alla fuga da Cuba del dittatore Batista il 31 dicembre del 1958. Nel libro e nell'allestimento, invece, l'accesso ai dati (e alle date) non è necessariamente sequenziale; il lettore può consultare il diario come vuole, andando da una data all'altra secondo percorsi personali, curiosità, suggestioni, rimandi. La peculiarità di questa selezione risiede nel fatto che tutti gli avvenimenti riportati  le guerre e le paci, gli attentati, i libri, i suicidi, i trattati  sono raccontati dall'autrice in prima persona, da cui il titolo Sono stata io. In questo diagramma di un secolo, appoggiato sull'impalcatura condivisa del calendario, l'artista si esprime come se queste cose fossero capitate a lei, come se di volta in volta fosse Hirohito, Hitler o Einstein. Si tratta della storia letta attraverso il filtro dell'io. La storia siamo noi. Artefici e vittime al tempo stesso  (Angela Madesani). Un cortocircuito scatta fra l'enormità dei fatti raccontati e il singolo soggetto (femminile in italiano, indecidibile in altre lingue), che se ne assume la responsabilità, inducendo riflessioni su temi cruciali del Novecento. Due guerre mondiali, le cadute di imperi secolari, l'Olocausto, i regimi dittatoriali, le armi di distruzione di massa, il colonialismo, il capitalismo, i terrorismi, il femminismo, la contestazione, la speranza in un mondo migliore: la memoria e gli effetti di lunga durata di questi fatti (o tendenze o strutture) si affollavano nel decennio  gli anni Novanta  in cui Daniela Comani matura quest'opera. Nel 1990 era uscito il saggio dello storico americano Hillel Schwartz, Century's end: a cultural history of the fin de siècle from the 990s through the 1990s, che analizzava, comparandoli, i caratteri ricorrenti delle crisi di fine secolo nel secondo millennio. Sulla cultural history avevano del resto già da tempo cominciato a interrogarsi gli artisti, basti qui fare il nome di Hanne Darboven, con la sua imponente opera Kulturgeschichte 1880-1983, presentata nel 1986 a Parigi e poi nel 1996-'97 a New York. Un'opera su tempo, storia e memoria, un grande archivio che più che la definizione di un'epoca, è la riscrittura di una storia  (C. Subrizi, Se l'arte archivia il tempo, in Azioni che cambiano il mondo, 2012). Nel 1994 usciva il volume dello storico britannico Eric J. Hobsbawm, Age of Extremes. The Short Twentieth Century 1914-1991, il cui titolo sarebbe diventato una sorta di slogan per definire il Novecento: il secolo breve , con le sue fasi, l'età della catastrofe, l'età dell'oro e la frana, che corrispondeva alla caduta dell'Unione Sovietica e del Muro di Berlino... Daniela Comani arriva nella città ancora divisa, il cui cielo, diviso anch'esso (come aveva raccontato negli anni Sessanta Christa Wolf nel romanzo Der geteilte Himmel, titolo anche di una recente mostra alla Nationalgalerie) era stato reso famoso dal film di Wim Wenders del 1987 Il cielo sopra Berlino. E si trova, piccolo individuo solitario e straniero, in mezzo a una svolta storica, che avrebbe segnato la memoria collettiva e personale. In quella città-laboratorio  racconta ella stessa  comincia a percepire quasi fisicamente la pesantezza del secolo che andava finendo, come un Atlante che regge la volta celeste sulle spalle. L'accumulo degli avvenimenti del secolo diventa un pensiero dominante finché non deciderà di concentrarsi proprio su questo accumulo, di farne l'oggetto di un'opera atlantica per ampiezza e obiettivi. Comincia a raccogliere articoli tratti da quotidiani e riviste italiane e tedesche, fotografie, notizie brevi, all'inizio senza un'intenzione precostituita. I ritagli si accumulano su tavoli e scrivanie nel suo studio, stratificandosi in palinsesti orizzontali, in pile e in scatole. La scelta cade su fatti singolari, biografie che la colpiscono. Un primo utilizzo di questo materiale si trova, a partire dal 1995, nella serie dei cosiddetti Double Drawings, disegni di volti e figure prelevati dalla stampa periodica e tracciati a ricalco su carta da lucido, in modo da poter essere sovrapposti. Ritratti doppi, sfaccettati, multipli, come quello dedicato alla davvero multipla personalità e al tragico destino di Tamara Bunke (1937-1967), guerrigliera e agente segreto, interprete e rivoluzionaria, tedesca e argentina, nonché cubana. I media sono la fonte da cui attingere per raccontare singole storie emblematiche, avatar  di storie più grandi, della storia tout-court. È nel gennaio del 1999 che il progetto di Ich war's comincia a prendere concretamente forma. Sullo sfondo ci sono i dieci anni trascorsi a Berlino e i materiali già raccolti fino ad allora, usati per i disegni doppi  e conservati nell'atelier, in quello che la stessa Comani definisce un archivio personale, aperto, non organizzato con criteri scientifici. L'ossimoro di archivio caotico  rende bene la situazione di questo accumulo, casuale ma non inefficace, in cui l'effetto serendipity (si trova una cosa mentre se ne cerca un'altra) svolge un suo ruolo creativo, spostando le riflessioni e le ricerche su nuove piste, talvolta inaspettate. L'idea di usare gli innumerevoli ritagli e foto, appunti e testi, per raccontare il '900 dalla parte di un singolo soggetto, un individuo immaginario che abbia attraversato il secolo, ha bisogno, per realizzarsi, di trovare una struttura d'appoggio. Questa struttura è individuata dall'artista in quel sistema di partizione del tempo basato sulle date (dal latino datum: dato, redatto il) che è il calendario, un sistema in grado di offrire una griglia alla dispersività e alla compresenza dei fatti accaduti, dotato di una natura insieme pubblica e privata, amministrativa e identitaria. Nominando il calendario, di nuovo il pensiero corre all'artista tedesca Hanne Darboven, che fin dagli anni Sessanta aveva lavorato sulle strutture del tempo in opere calendariali  e, più avanti, aveva stilato elenchi di avvenimenti, allestendo opere al tempo stesso concettuali e dal forte impatto visivo. E in relazione alle date, un richiamo va fatto al giapponese On Kawara con la sua Today series. Tutti riferimenti importanti per Daniela Comani (con On Kawara, nel 1996, ha partecipato alla collettiva Lesen, presso la Kunsthalle di Sankt Gallen in Svizzera). Torniamo a Ich war's. Scelta l'ossatura, in questo caso una griglia di 366 caselle, bisognava riempirla tutta, selezionando un fatto ogni giorno, per un totale di 366 accadimenti che rappresentassero, in modo significativo, tutti gli anni del secolo. Il racconto dei fatti non avrebbe però seguito la successione degli anni, ma si sarebbe svolto giorno dopo giorno in un unico, condensato anno solare, da gennaio a dicembre. Inoltre, poiché la prima versione dell'opera era pensata per un'installazione audio, una sorta di radiocronaca del XX secolo, letta da uno speaker senza interruzioni, il secolo sarebbe risultato condensato in un'ora di ascolto. A questo punto del progetto, ha inizio la fase operativa... Quell'archivio personale, aperto, caotico, viene sistematizzato, in modo che nessuna data resti vuota e nessun anno scoperto. Fanno la loro comparsa i classificatori, i pratici Ordner dalla copertina nera, e vengono stilate tabelle di corrispondenze fra date e avvenimenti. Comincia una metodica frequentazione delle biblioteche di Berlino (la Nazionale, l'Amerika-Gedenk-Bibliothek), con consultazione di banche dati, visione di microfilm con annate di giornali e riviste d'epoca. Per tutto il 1999, mentre l'Europa discute dell'euro, mentre la Nato interviene in Serbia e Roberto Benigni vince l'Oscar con La vita è bella, (e mentre tutto il mondo aspetta il 2000 con il terrore del millenium bug), Daniela Comani attende al suo lavoro quotidiano di ricerca e classificazione di quei fatti che hanno portato all'Olocausto, ai conflitti balcanici, all'unità europea, alla globalizzazione tecnologica..., trascrivendo e fotocopiando trafiletti, occhielli, lanci di agenzia, saggi e articoli. Prende dagli archivi le notizie, che deposita nel suo schedario personale e poi riversa nell'ordine del calendario. In questo passaggio, però, quelle notizie subiscono un cambiamento inusitato. Di qualunque cosa si parli: la proclamazione del fascismo, il primo volo nello spazio, l'attentato alla stazione di Bologna, la notizia, con linguaggio asciutto, sintetico, quasi protocollare, è sempre data in prima persona. C'è sempre io , che compie nefandezze, o prende decisioni umanitarie, o soccombe alle avversità della natura, o sopravvive. 2 gennaio. Berlino. Vengono aperti al pubblico gli archivi della STASI (Servizio per la Sicurezza dello Stato della Repubblica Democratica Tedesca); da oggi ho diritto di esaminare i miei atti : questa è la seconda data che si incontra in Ich war's, leggendo di seguito il testo dell'opera. Per verificare l'anno, bisogna consultare la cronologia che correda tutte le edizioni dell'opera stessa. Questo 2 di gennaio risale al 1992, quando gli archivi del servizio di sicurezza della DDR vengono aperti. L'io messo in gioco da Daniela Comani, come uno dei personaggi dello straordinario film Le vite degli altri (von Donnersmarck, 2006), può venire a conoscenza dei controlli a cui è stata sottoposta la sua vita quotidiana e delle registrazioni dei fatti che lo riguardano. È palese la natura narrativa e finzionale di Ich war's, adeguata a un'opera in cui l'ascolto e la lettura vengono prima della visione. Del resto, racconta Daniela Comani che, nei mesi di lavoro, il libro che aveva sul tavolo era Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, la scrittrice di Archivi del Nord, capace di trasformare le tracce delle memorie private, familiari e storiche in sottile e potente materia narrativa. E nume tutelare, sempre presente dietro le spalle, era Borges, con i suoi magistrali passaggi dal reale all'immaginario. In quello stesso anno 1999, usciva la ricerca di Aleida Assmann sulla memoria culturale, Erinnerungensräume, Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, che rimetteva in gioco i temi della responsabilità e della funzione dell'arte nella cura della memoria collettiva e l'anno prima una mostra apripista, a cura della Haus der Kunst di Monaco, aveva affrontato il tema dell'archiviazione nell'arte: Deep Storage. Collecting, Storing, and Archiving in Art, presentando una selezione ricchissima di esperienze estetiche ed artistiche che avevano a che fare con la conservazione, l'archiviazione, l'immagazzinamento, la memorizzazione. La fine del secolo XX era dunque un terreno fertile per opere di questa natura. Ora, a Berlino, Daniela Comani lavora nello spazio del Künstlerhaus Bethanien, ex-ospedale destinato a residenze d'artista. Immerso in un sobrio giardino, con le sue torrette in facciata, i vasti corridoi, i cameroni, è un luogo di memoria della città, situato com'è nella zona di Kreuzburg, un tempo al confine fra le due metà. Benché impegnata in nuovi progetti (le Novità editoriali edite da Corraini, la mostra She says a Charlottesville, Virginia), Daniela Comani continua a mettere da parte  sempre con caotico spirito archivistico  ritagli, immagini, appunti, in classificatori e scatole che hanno ormai da tempo, a tutti gli effetti, cittadinanza attiva nell'arte contemporanea. Scorrendo ancora una volta il calendario di Ich war's, l'irriverenza nei confronti della cronologia sconcerta e attrae, costringe a un andirivieni nella storia, a uno sforzo di identificazione, a una proficua attività del... pensiero. Si cerca di ricordare, senza andare a controllare subito nella cronologia, in che anno, il 10 ottobre, io  occupo la segreteria dell'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf; e chi sono io  (nella fattispecie sono Joseph Beuys e l'anno è il 1972). In questa anamnesi, si sovrappongono memorie personali, ci si ricorda dove veramente si era in alcune date cruciali della storia collettiva, il cui impatto ha fissato la nostra posizione nel tempo. Sono stata io , dice Daniela Comani. Io penso: chi è stato e quando? E poi: dov'ero io allora? Dove sono, sempre, mentre la storia accade?

ANTONELLA SBRILLI è Professore Associato di Storia dell'arte contemporanea presso il Dipartimento di Storia dell'arte e Spettacolo della Sapienza Università di Roma, dove si occupa anche di Informatica applicata ai beni culturali. Ha pubblicato ricerche sull'arte romantica, su De Chirico, sugli scambi fra letteratura e arti visive (Sterne e Dada; Nabokov e Warburg); sul gioco (mostra Anche rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, Istituto Nazionale per la Grafica, Roma 2010). Ha co-fondato e gestisce il blog www.diconodioggi.it sul tempo nella finzione artistica.

Questo testo è un contributo di Antonella Sbrilli per lo IED (Istituto Europeo di Design) durante la giornata di studi sugli archivi, tenutasi il 26 gennaio 2013 al Museo MAXXI a Roma: http://www.archivetellers.it/antonella-sbrilli-eletti.html


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